Le belve dei mercati
Durante l’anno 2012 dovranno essere rinnovati BOT, CCT ed altri Titoli di Stato per un importo di circa 450 Miliardi di Euro (quasi 900.000 miliardi di vecchie Lire).
Se lo spread fra il tasso di interesse dei titoli di Stato italiani e quelli tedeschi non scende stabilmente sotto i 350 punti base l’Italia nel 2012 dovrà affrontare una maggiore spesa, rispetto al 2011, di circa 10 Miliardi di Euro, cioè il doppio di tutti gli introiti generati dalla re-introduzione dell’IMU.
Cioè: sarà necessaria una nuova manovra, tasse e ancora tasse, solo per pagare maggiori interessi ai nostri creditori internazionali, soldi italiani che vengono sottratti ad investimenti fatti in Italia e vanno ad arricchire chi ricco lo è già, un’esportazione di capitali legalizzata.
Per inciso, vista la situazione a fine maggio, si può già dire che un bel po’ dei 10 miliardi suddetti sono andati …
In altri termini, uno spread stabile sopra 350 punti base è un ottimo salvacondotto verso la bancarotta.
Ed allora? Che fare? Ci sono delle leve per abbassare questo spread? Chi le manovra?
Finora il Governo ha giocato la carta della maggior credibilità internazionale, per convincere da un lato gli investitori a prestarci i soldi ad un interesse più basso, dall’altro indurre l’Europa (cioè la Germania) a garantire il nostro debito – leggasi controfirmare per garanzia le nostre cambiali – attraverso gli Eurobond ed il Fondo salva Stati. Ma ad oggi possiamo dire che, a parte i sorrisi di maniera e le dichiarazioni di facciata, questa linea non ha pagato, così come dimostrano i declassamenti delle agenzie di rating ed il giudizio tedesco su di noi di inizio anno, una lode dal sapore della beffa, “l’Italia è forte e può farcela da sola”.
Dunque, la semplice carta del “vi ho mostrato che sono serio ed ora mi devi aiutare” non funziona.
Però, a ben vedere, l’acrimonioso giudizio tedesco ci dà un elemento di riflessione per certi versi anche nuovo, e che è nostro dovere sviluppare meglio rispetto a quanto fatto finora.
Proviamo a farlo insieme.
E’ vero: l’Italia è un grande Paese, e forte. Non merita di essere consegnato imbelle ad un futuro di soggezione alle “belve dei mercati” (definizione del premier Monti), ed ha risorse di ogni tipo per tirarsi fuori da questa spirale di speculazioni. Però, se è vero che le risorse ci sono, è ancora più vero che il semplice riconoscere le minacce da cui difendersi (le belve), senza opporvisi con la necessaria energia, non basta a sconfiggerle.
Nel mercato ci sono le belve? Allora è necessario rimboccarsi le maniche e ripagarle della stessa moneta: alle belve come belve (e non sto parlando, per carità, di scatenare la terza guerra mondiale!). Non cerchiamo di ammansirle dicendo che stiamo diventando brave formichine e che se ci aiutano lo diventeremo ancora di più, perché quelle (le belve) se ne fregano dei nostri progressi: anni fa hanno trovato nell’Italia un forziere pieno di risparmi privati – uno dei più grandi del mondo alla fine del secolo scorso – e non si fermeranno finché non sarà svuotato. Fermarle è possibile, proprio perché siamo ancora (hic et nunc, come direbbero i nostri antenati) un grande Paese dove la gente lavora molto e produce grandi ricchezze, ma a patto che dimostriamo di essere più forti di loro. Il che significa una cosa sola: gli italiani acquistino una parte significativa dello stock di debito da rinnovare, limando in questo modo le unghie agli speculatori stranieri e trattenendo in Italia una quota maggiore degli interessi che ora si disperdono chissà dove all’estero.
In questa battaglia finanziaria la parola d’ordine dovrebbe essere “allo stato più credito e meno tasse”. Ogni euro pagato in tributi che servano ad onorare gli interessi ai creditori stranieri è una risorsa che sottratta alla nostra crescita va a rinforzare chi ci vuole falliti. Il debito pubblico deve essere ricondotto più saldamente in mano italiana (ora la ripartizione fra creditori italiani ed esteri è circa 50/50), in modo che i creditori internazionali bussino alle nostre porte con minori pretese (leggi: interessi più bassi).
Ma ri-nazionalizzare il debito pubblico non è compito facile, occorre che il Governo – qualunque esso sia – ci creda, e si proponga con misure di acquisto di Titoli di Stato anche obbligatorie, che coniughino ad es. la lotta all’evasione fiscale con la collocazione del debito trasformando in Buoni del Tesoro multipli delle somme evase, a sanatoria dell’illecito. Un Governo che a fronte dei sacrifici richiesti dia la dimostrazione di saper riportare in Italia il luogo delle decisioni sul nostro futuro.
Ad oggi, nonostante gli encomiabili sforzi profusi, così non è, e le “belve dei mercati” lo sanno bene.
Caro Governo, prova a immaginare una Terza Repubblica fondata sul lavoro e su una prospettiva di maggior autonomia dai gioghi di una finanza internazionale che ogni giorno di più si fa strada nelle stanze del potere, imponendo propri uomini a garantirsi le decisione che le servono.
E’ un fatto che la mano “mercatista” venuta a plasmare il mondo dai primi anni novanta del secolo scorso ha staccato sempre di più i Governi degli Stati dai loro cittadini, lasciando che la finanza internazionale con i suoi prestiti a basso tasso di interesse si introducesse sempre di più – come un cuneo – fra i primi, bisognosi di liquidità per finanziare lo sviluppo ed il consenso, ed i secondi, beneficiari di questo sviluppo.
In proposito, un memento importante da proporre con umiltà ma in tutta franchezza agli economisti prestati alla politica: il teorema di Modigliani, secondo il quale non ha importanza il come si finanzia un’azione ma solo quanto rende il capitale impiegato, non si può applicare agli Stati sovrani. Questi, in democrazia, devono rendere conto ai loro cittadini, non alle “belve dei mercati”, e per non venir meno a questo patto, forse il più fondante dei sistemi di governo democratici, hanno a finanziarsi sopra ed anzitutto presso i propri cittadini, invece di andare ad infilarsi nelle nasse di chi inizialmente presta a basso interesse, per poi, nei momenti di crisi, strangolarti. Che stato sovrano è, che debito sovrano è, quello che per sopravvivere deve rendere conto ad un terzo incomodo – le belve dei mercati – invece che al proprio popolo?
Caro Governo, fatti questa domanda, proponi delle soluzioni, sii creativo oltre le solite invenzioni di nuove tasse e delle liberalizzazioni (ben ne vengano altre, tuttavia, oltre a quelle che hanno interessato panettieri, parrucchieri etc.): molti Italiani, molti di più di quelli che possiamo immaginare, sapranno darti grandi risposte. Quelle, appunto, di un “Paese forte che può farcela da solo”.
Carlo Marcena